Mauro Patti, svegliamo il movimento dall’assopimento

Mauro Patti, svegliamo il movimento dall’assopimento

La partecipazione ritualistica ai pride non basta. Portiamo le istanze Lgbtq e di genere nel dibattito pubblico su lavoro, welfare, ambiente, scuola, sanità

Oggi abbiamo sentito Mauro Patti. Giovane attivsta impegnato da anni, nei movimenti studenteschi, antimafia Lgbtqi ha trasformato la sua passione per il sociale e lo scambio tra culture in professione occupandosi di programmi internazionali per la Fondazione Villa Maraini e in Croce Rossa.

Un’esperienza sul campo, a stretto contatto coi bisogni reali delle persone che rendono il suo messaggio per questa fase molto forte perché al tempo stesso radicale e concreto.

Da anni lavori con la Croce Rossa e la Fondazione Villa Maraini in prima linea in ambito umanitario, tra le tante attività ci sono quelle delle sue unità di strada al fianco delle persone più fragili e nella prevenzione dell’HIV. Com’è cambiata la vostra attività in epoca di coronavirus?

Lo stigma può uccidere più di un virus. Ogni anno, ad esempio, circa mezzo milione di persone muore a causa della droga in tutto il mondo. Anche questa è una pandemia permanente, per molti di serie B. La causa di tanta sofferenza è intensificata dalla violenza e discriminazione che queste persone subiscono ogni giorno. Per questo abbiamo mantenuto attivi tutti i servizi, riorganizzando il lavoro e mettendo in sicurezza la struttura.

Mauro Patti (di spalle) in attività di formazione

Offrire servizi sanitari e protezione sociale ai più vulnerabili, soprattutto in momenti così critici, è fondamentale per un’associazione umanitaria come la Croce Rossa a livello internazionale. Villa Maraini, la sua agenzia sulle tossicodipendenze e MST, è un’eccellenza mondiale per la cura dei tossicomani, che ha promosso per prima al mondo le strategie umanitarie di riduzione del danno e dei rischi da malattie infettive, esportando questo modello in tanti Paesi.

Nell’ambito della cooperazione internazionale, la pandemia da Covid-19, ha bloccato progetti in cui siamo impegnati da anni, come in Iran o in Kenya, dove c’è un gran bisogno di politiche umanitarie, misure alternative al carcere e assistenza sanitaria in quest’ambito.

Ridurre il danno significa evitare l’irreparabile. Salvare vite. Ora più che mai. Agganciare le persone per strada con le unità mobili significa dar loro l’opportunità di non infettarsi. Abbiamo deciso di sospendere la somministrazione dei test rapidi che fino a febbraio scorso ci ha consentito di avviare centinaia di positivi alle cure. Dagli anni ’90 ad oggi infatti, grazie alla riduzione del danno, la trasmissione delle Epatiti e Hiv tra i tossicomani è crollata di oltre il 60%, e solo su Roma, più di 2500 persone che, a causa dello stigma, la società avrebbe lasciato soccombere, sono state salvate da morte certa per overdose.

Mauro Patti

Mauro Patti, 33 anni, campano, dal 2005 vive a Roma, con alcuni intervalli di lavoro a Barcellona, Londra e Bruxelles. Lavora sui programmi internazionali della Fondazione Villa Maraini e della Croce Rossa e si occupa da anni di cooperazione internazionale, di progetti umanitari e sviluppo di campagne in ambito socio-sanitario operando in più di 20 paesi nel mondo. Ha militato nelle associazioni studentesche, antimafia e nel movimento Lgbtqi.

Quali sono le criticità che state riscontrando nella vostra attività sul territorio? Quali le difficoltà e i rischi per chi vive in strada, o in sistemazioni di fortuna, per le persone più povere e i/le sex workers?

Il lockdown non ha fermato la smercio di sostanze, né le richieste continue di aiuto. Per questo ci siamo attrezzati per assicurare in sicurezza, h24, tutti i nostri servizi in strada e in struttura. Gran parte dell’utenza, come i senza dimora e persone che si prostituiscono, sa cosa significa vivere in uno stato perenne di emergenza, quindi è più resiliente e ha saputo reagire forse meglio di noi tutti alle restrizioni e allo stato di angoscia. Ma il rischio per loro è alto. Mentre i carcerati che sono in misura alternativa presso la nostra struttura, abituati alla limitazione della libertà di movimento, non hanno avuto stravolgimenti, ciò che li preoccupa è la questione lavorativa delle rispettive famiglie e il loro futuro. Fortunatamente non ci sono stati casi di positività. Ciò che ci preoccupa è una diminuzione nel prossimo futuro di fondi nel sociale e sanità a favore dei più vulnerabili.

Sul piano personale invece come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Ho sempre avuto una vita frenetica, fatta di viaggi di lavoro e di piacere. Un’ipersocialità quasi patologica fatta di continui contatti umani nel corso di serate, eventi culturali e ricreativi, di incontri e fughe settimanali con il mio compagno che vive a Napoli. Queste rinunce sono difficili da gestire, non sono mancati momenti di inconsolabile timore sul futuro.

Nel frattempo non ho smesso di andare a lavoro e questo è stato per alcuni versi un vantaggio. I ritmi si sono rallentati, ho potuto leggere e studiare di più, cucinare e prendermi cura delle piccole cose ritrovando il “tempo perduto”. Non mi rassegno all’idea del distanziamento sociale, anzi meglio dire fisico, perché ci consente comunque di coltivare la nostra socialità e interessi. Magari è anche un’occasione per costruire qualcosa di buono e riattivare l’impegno sociale anche fuori dal lavoro. Come fanno centinaia di ragazzi con il banco alimentare per l’associazione Nonna Roma, con cui abbiamo distribuito 900 pacchi alimetari solo nello scorso weekend (ndr. dell’impegno di Nonna Roma ci ha parlato qualche settimana fa Filippo Riniolo).

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Penso sia impossibile contenere ancora a lungo i bisogni affettivi, di contatto fisico, di abbracci, di socialità non virtuale. Contenere il bisogno di ascoltare della buona musica dal vivo o ballarla e basta. Ma la prospettiva è molto buia soprattutto per il mondo dell’intrattenimento dal vivo e dello spettacolo. Spero che le paura alimentate da tutto ciò che il virus sta cambiando delle nostre vite non passi invano, senza lasciarsi indietro un vero cambiamento. Il carattere sovraidentitario di questa crisi spero sia in grado di farci comprendere quanto siamo inesorabilmente connessi, nelle fragilità e nelle scelte individuali.

Una conseguenza grave di questa messa al bando degli spazi fisici, penso sia legata alla perdita della visibilità singola e collettiva della comunità rainbow. Condizione imprescindibile per l’emancipazione e orgoglio della comunità. Strumento importante anche a far sentire meno sole le persone che vivono in solitudine la loro condizione sessuale o di genere. Un giovane ragazzo pugliese ad esempio, esausto dei suoi genitori, ha contattato nelle ultime settimane decine di strutture che dispongono un servizio notturno, e si è imbattuto anche nella nostra. Su questo l’iniziativa della Casa Rifugio Lgbt della Croce Rossa è importante, ma molto limitata (Roma). Bisognerebbe averne 1000 di queste strutture in tutta Italia. Il nostro welfare passa anche da qua.

In questi giorni si parla di questa incerta fase 2. Per la tua esperienza cosa può essere utile per ripartire in sicurezza? Quali errori dovremmo evitare?
Mauro Patti

Spero che saremo tutt* in grado di comportarci con responsabilità come negli ultimi due mesi. Ciò che temo ora, oltre a un fisiologico aumento di contagi, è la sicurezza sociale e lavorativa di molti. Quando diciamo che #andràtuttobene, bisogna aggiungere la congiunzione “Se” come è emerso bene nella campagna de IlCorsaro.info. Perché se non estenderanno un reddito a chi non lo ha, se non smetteranno di licenziare, se non bloccheranno gli affitti, se non daranno fondi alla ricerca e alla scuola, se non regolarizzeranno i migranti, se non finanzieranno l’arte e lo spettacolo, se non faranno pagare a chi ha di più questa crisi, non ci sarà sicurezza né ripartenza possibile.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Anche se la pandemia ci ha fatto sentire tutti vulnerabili, sappiamo che le crisi portano a galla contraddizioni e fragilità, non solo dei sistemi economici, mettendo in risalto tutte le iniquità sulla distribuzione della ricchezza, ma anche quelle politiche e sociali che sfociano spesso in una lotta tra poveri.

Dopo l’ultima recessione economica abbiamo visto in Europa avanzare i populismi e il consenso delle destre, che hanno speculato sulle fragilità del sistema europeo, in cui in effetti è venuto meno lo spirito solidaristico e il fattore umano. E questo egoismo degli stati del Nord contro quelli del Sud sta venendo fuori oggi in tutto il suo clamore.

Ritengo sia inaccettabile che nel corso di una crisi, come in una guerra, i profitti dei pochi settori che lavorano non vengano socializzati mentre milioni di persone perdono il lavoro e non hanno di che mangiare. Non ci si può salvare da soli, magari a scapito degli altri. Bisogna porre le condizioni perché questa crisi non venga pagata ancora una volta dai soggetti più fragili, è l’occasione per farne una battaglia europea e non solo nazionale, per spostare ad es. il peso della fiscalità dal lavoro alle rendite/patrimoni. Reinvestendo i profitti di chi in questi mesi ha decuplicato le entrate per finanziare forme di reddito per i precari, disoccupati, studenti, donne, trans, gay, famiglie fragili: un welfare di autodeterminazione, uno strumento contro il ricatto della precarietà, della discriminazione, della violenza e dell’abuso di potere.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Mi preoccupano sia le solite ghettizzazioni lobbistiche di alcune frange del movimento lgbtqi, sia l’assopimento che vive da alcuni anni il nostro movimento, che spesso si limita alla partecipazione ritualistica del pride, me in primis. Credo sia fondamentale animare un dibattito interno al movimento per riorganizzare le priorità e inserirci nel dibattito pubblico, assieme agli altri movimenti, per dire la nostra sui temi del lavoro, welfare, sanità, formazione, ambiente ed economia, e a tenere dentro tutte le istanze lgbtqi e di genere.

Quest’assopimento temo sia stato acuito dalla falsa percezione di aver raggiunto una certa libertà grazie al proliferarsi di serate friendly, delle app di incontro e dopo l’approvazione della Cirinnà, facendo venire meno la cultura dell’impegno e alimentando quella dello svago.

Ora però è tempo di i alzare i tacchi e ventaglio per dire la nostra in questa fase decisiva di mutazione. I rapporti di forza in una crisi così potente si acuiscono e proprio mentre la società si trasforma è necessario indicare come debba avvenire questa trasformazione, senza limitarsi a guardarci l’ombelico.

Bisogna porsi in un’ottica di superamento delle categorie: per un movimento di liberazione rainbow non basta essere della parrocchia, ora più che mai è necessario mettere in discussione un modello di società alternativo che tenga conto prima di tutto dei più fragili, umanizzando questa crisi costruendo sistemi di solidarietà, fratellanza e mutualismo. Altrimenti diventa una lobby economica e folkloristica fuori dalla storia e dalla realtà.

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