Mese: Aprile 2020

Di Sabato, Dall’isolamento riscopriamo l’importanza della nostra visibilità fisica

Di Sabato, Dall’isolamento riscopriamo l’importanza della nostra visibilità fisica

Per l’attivista e insegnante romano la scuola oggi paga i tagli e le riforme del recente passato, ma nella distanza docenti e studenti si stanno ritrovando

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Dal suo isolamento domestico ci ha risposto Geatano di Sabato. Napoletano a Roma, insegnante di lingue in un liceo scientifico e attivista Lgbtqi, Gaetano ha fondato alcuni anni fa l’associazione I Mondi Diversi con cui ha organizzato diverse iniziative culturali e politiche e che dal 2014 fa parte del Coordinamento Roma Pride.

Vorrei cominciare dal tuo lavoro di insegnante in una scuola superiore. Le scuole sono state tra le prime ad essere chiuse allo scoppiare dell’emergenze e probabilmente non riapriranno prima del prossimo settembre. Come sta andando nella tua esperienza, con la didattica a distanza? Cosa pensi dei provvedimenti presi sulla scuola?

La mia è un’esperienza estremamente positiva. Insegno in un liceo statale che già da alcuni anni ha esplorato percorsi di innovazione. Eravamo quindi già “attrezzati” del necessario e questo ci ha permesso di passare dalla didattica in presenza a quella a distanza senza soluzione di continuità. Nel pomeriggio del 4 marzo arrivò la notizia della chiusura e già il 6 mattina eravamo online con un orario delle lezioni adattato.

La cosa forse inaspettata ma davvero straordinaria è stata la risposta della comunità scolastica. L’impegno e la generosità dei docenti, il livello di partecipazione degli studenti, le espressioni spontanee di stima e di gratitudine da parte delle famiglie stanno ridando centralità al valore umano della scuola, come luogo ideale di relazioni che conferiscono profondità all’azione educativa e formativa. Credo che nel distanziamento forzato, docenti e studenti si stiano “riscoprendo”, riavvicinando e rivalutando reciprocamente come non accadeva da tempo.

Purtroppo so di tante altre realtà che devono invece affrontare le sperequazioni nel tessuto sociale e l’insufficienza delle risorse. La scuola, come la sanità pubblica, negli ultimi vent’anni ha sofferto tagli e riforme incomprensibili e la pandemia ha reso ancora più evidenti gli effetti di tanti errori.

Con tutta la buona volontà, correre ai ripari adesso non è semplice e lo testimonia proprio il clima di incertezza intorno al “destino” della scuola nei prossimi mesi. Al di là dei fondi, comunque insufficienti, messi in campo finora, le questioni legate all’edilizia scolastica, alle risorse umane, alla formazione, all’organizzazione sono di enorme complessità ed è urgente che si diano risposte attraverso un piano serio per la scuola pubblica che verrà.

Gaetano Di Sabato, 44 anni napoletano, vive e lavora a Roma dal 2004. Insegna Lingua e cultura inglese in un liceo scientifico statale. Alcuni anni fa ha fondato l’associazione di promozione sociale I Mondi Diversi che dal 2014 fa parte del Coordinamento Roma Pride.
Single “per scelta dopo un passato ricco di relazioni, avventure e una lunga convivenza” vive solo.

Per il resto invece come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiate oltre al lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Nel corso della vita, un po’ per indole un po’ per formazione, ho anche ricercato e coltivato momenti di solitudine. Questo mi ha avvantaggiato nell’affrontare il periodo che stiamo attraversando, nel senso che grazie al lavoro a distanza, alle passioni personali come i libri e il cinema, che posso comunque assecondare, e a una certa consuetudine a rimanere con me stesso, riesco a “reggere” abbastanza bene.

Il problema è che in questo caso l’isolamento non è una scelta e per uno come me, libertario, insofferente agli schemi, che ha nell’autodeterminazione il suo valore guida, la costrizione non è facile da sopportare. Cerco di viverla come un esercizio del mio senso di responsabilità civile.

Quel che mi mette più alla prova è proprio la questione delle relazioni. Non sono mai stato bravo a coltivarle a distanza, nemmeno quando l’unico strumento era il telefono. L’impossibilità di essere fisicamente vicino alle persone è un grosso ostacolo. Confesso di sentire come se stessi trascurando alcuni rapporti e questo è per me motivo di sofferenza.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?
Gaetano di Sabato (a destra) ad una manifestazione per i diritti

Al di là del progressivo allentamento delle restrizioni, la vera sfida sarà superare i timori che stiamo interiorizzando. Il distanziamento sociale non è soltanto una precauzione fisica. Impatta globalmente sul modo di essere con gli altri; implica reprimere gesti naturali che fanno parte del “linguaggio” complessivo con cui ci relazioniamo. Il distanziamento fisico può facilmente diventare emotivo oppure tradursi in frustrazione, e questo rischia di rendere tutto più difficile. In più questa nuova situazione si innesta su una triste tendenza degli ultimi anni per cui molte persone dividono la propria socialità tra il reale e il virtuale, privilegiando spesso quest’ultimo.

Io appartengo a una generazione che ha assistito all’esplosione della favolosa vivacità con cui la collettività Lgbtqi, ha portato fuori dall’ombra i suoi spazi di aggregazione, facendo intrattenimento e cultura in modo anche funzionale alla lotta politica. È però innegabile che, per tanti motivi, la capacità attrattiva e la popolarità di alcune di queste forme di aggregazione ultimamente si sono ridotte.

Per provare a trasformare il disagio in opportunità, spero che l’isolamento che di quegli spazi ci ha privato del tutto ci faccia presto ritrovare lo spirito con cui originariamente li abbiamo fortemente voluti e caparbiamente creati.

Tu sei anche molto legato al Pride e al Roma Pride in particolare. Questo rischia di essere il primo anno senza Pride a Roma e nel resto d’Italia da oltre 25 anni. Che ne pensi?
Gaetano di Sabato (destra) con le bandiere de I Mondi Diversi al Roma Pride

L’assenza dei Pride è una ferita. Non ci sono molte altre parole per dirlo. Ogni anno nei Pride quello spirito a cui accennavo prima si riaccende. Si tratta forse dell’unica manifestazione di piazza che è ancora capace di dare espressione e corpo, anzi “corpi”, a principi che mai come in questi anni vanno strenuamente difesi. Perché si protendono verso un mondo possibile in cui discriminazioni e disparità siano solo un ricordo. In un momento che ci chiama a immaginare un futuro diverso, i Pride sarebbero di estrema importanza. Mi auguro che troviamo un modo alternativo di esserci, con la promessa di tornare in piazza alla grande non appena possibile.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Tra le altre cose, la pandemia ha svelato e amplificato tutte le contraddizioni del nostro modello di civiltà. Ha congelato i consumi che ne erano la benzina e ha rallentato la produzione che ne è il motore. Ma soprattutto ha reso chiara l’insostenibilità di un sistema nel quale il mercato finanziario è essenzialmente speculativo e vive in una bolla quasi del tutto indipendente dall’economia reale, mentre un liberismo esasperato e sacralizzato marginalizza il ruolo dell’autorità politica, che arretra e subordina il benessere delle persone all’esigenza di conservazione del sistema stesso.

Gaetano di Sabato (sinistra) interviene a un’iniziativa

A pensarci, è un po’ come in una deriva totalitaria, in cui le persone esistono per preservare il sistema e non viceversa. E serve a poco che in qualche modo i diritti individuali continuino a essere riconosciuti se vengono a mancare condizioni sociali che consentano di esercitarli davvero. È questa consapevolezza la lezione che dobbiamo apprendere dall’emergenza attuale. Sprecare energie a immaginare utopie prossime venture o strapparsi le vesti anticipando catastrofi è inutile. In genere le costruzioni ideali o ideologiche, per quanto grandi e ambiziose siano, falliscono se non tengono conto della natura propria degli esseri umani, in genere infelici a essere persone se non possono essere anche individui.

Una cosa è certa. Il mondo che sarà avrà luci ed ombre, perché è in noi che ci sono luci ed ombre. Sarebbe bello però se, almeno questa volta, riuscissimo a ricordare gli errori che ci sono stati rivelati e provassimo a correggerli. Se almeno capissimo che mettendo in comune le risorse renderemmo comuni anche gli interessi, potremmo smettere di parlare ipocritamente di una solidarietà che non c’è e potremmo immaginare di nuovo una comunità internazionale realmente capace di porre rimedio ai guasti e alle ingiustizie sociali che ci affliggono globalmente.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Sinceramente? Ho la triste impressione che si sia diffusa la falsa convinzione che la faccenda dei diritti appartenga al passato e che la liberazione sessuale consista nella possibilità di fare sesso come e quando ci pare, il che in effetti come possibilità esiste… Basta che non se ne parli troppo…

Battute a parte, alcune scelte e alcuni eventi ci hanno fatto entrare in quella fase, pericolosissima per qualsiasi movimento di liberazione, in cui certe istanze non potendo più essere soppresse vengono “contenute” tramite un processo di assimilazione che, normalizzandole, le neutralizza. Si ha così l’impressione di aver vinto e invece si è solo accettato un compromesso e ci si è adeguati entro un confine che è definito dalla cultura stessa da cui originariamente si cercava di affrancarsi.

Per certi versi, per una fase analoga passò il movimento femminista al volgere degli anni ’80 e adesso la stiamo attraversando noi. Prima ancora di concentrarci sui traguardi da conquistare, nell’immediato la sfida è convincere le persone che traguardi ancora non raggiunti esistono e che c’è bisogno di lottare per arrivarci. E questa sfida si vince in un solo modo: facendo cultura e (ri)animando il confronto politico.

Per come la vedo io, è questo l’orizzonte delle prossime battaglie, altrimenti il resto è perduto. Un’idea potrebbe essere ricominciare a farsi e a fare domande, a mettere in discussione tutto, invece di continuare a fare affermazioni di principio che non scaturiscono dall’elaborazione di dubbi profondi.

Edo e Alfio da New York, voglia di Pride

Edo e Alfio da New York, voglia di Pride

Secondo la coppia italiana per tornare alla normalità, negli USA, si dovrebbe rivedere il sistema sanitario che ora è affidato quasi del tutto ai privati

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Oggi abbiamo raggiunto una coppia straordinaria. Edoardo e Alfio, catanesi, si sono conosciuti giovanissimi nel 1997 e da allora non si sono più lasciati, seguendo sempre le loro passioni e i loro sogni.

Dopo aver vissuto a lungo a Roma, dove hanno lavorato come ballerini all’Opera si sono trasferiti a Lione per il lavoro presso il Ministero degli Esteri di Edorado e lì si sono potuti finalmente sposare nel 2014. Dal 2017 vivono invece a New York e possono raccontarci come sta vivendo l’emergenza coranvirus la Grande Mela.

Da qualche anno vivete a New York, che è l’epicentro dell’epidemia di coronavirus negli USA. Com’è la situazione lì? Come sta reagendo la città?

Viviamo qui da fine 2017 ed è un’esperienza fantastica, New York è una città che fa sognare milioni di persone. All’inizio della pandemia tutti speravano che New York sarebbe stata risparmiata ma sapevamo benissimo che non sarebbe stato così. La preoccupazione era crescente finché sono state adottate le prime misure restrittive che, tutto sommato, si sono rilevate sopportabili, anche perché sono arrivate sempre come suggerimenti e non come vere e proprie imposizioni. E i newyorkesi si sono dimostrati sempre abbastanza responsabili anche se non sembra possibile fermare la città che non dorme mai.

Edoardo (a destra), 43 anni siciliano, tecnico informatico al Ministero degli Esteri, è stato iscritto GlobeMAE per circa 3 anni, dopo essere vissuto a Roma e in Francia, dove si è sposato con Alfio nel 2014 da dicembre 2017 vive a New York con lui.
 
Alfio (a sinistra), 41 anni siciliano. In passato danzatore all’Opera di Roma e poi addetto vendita presso Auchan, sta assieme ad Edorardo dal 1997. Ha scelto di seguirlo all’estero prima a Lione e ora New York dedicandosi alle sue passioni e all’arte.

Come state vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati lavoro, abitudini e relazioni?

Stiamo a casa il più possibile anche da prima che cominciassero a chiudere le varie attività. In Consolato, dove lavoro, si è cominciato a fare smart working quasi subito, prima con presenze in ufficio di poche persone ogni giorno poi con una sola giornata di apertura settimanale solo per le emergenze. Ovviamente niente più palestra, cinema, e spettacoli di Broadway o al MET, di cui siamo affezionati frequentatori. Ci accontentiamo dei surrogati telematici: videochiamate whatsapp, conferenze via zoom, yoga e zumba su Youtube, Netflix e streaming dell’Opera in TV. Un po’ come il resto del mondo suppongo.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Immaginiamo che gli spazi di aggregazione, non solo quelli Lgbtqi, potranno riprendere la normale attività solo quando il numero dei contagi sarà diminuito e i reparti di terapia intensiva saranno più liberi. Speriamo che per giugno si possa tornare a rivivere un po’ anche in gruppo.

Anche la celebre parata del Pride, che nel 2019 proprio qui ha celebrato i suoi primi 50 anni, potrebbe essere un ottimo modo per festeggiare ma non siamo sicuri che si riuscirà ad organizzare un evento così affollato.

Dopo quel che sta succedendo in Italia, negli Stati Uniti e nel mondo come vi immaginate il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Edoardo e Alfio davanti allo Stonewall Inn in occasione del World Pride 2019

Beh, a livello nazionale sia in Italia che negli USA non si risparmieranno colpi bassi in politica. Qui ci sono le elezioni presidenziali a fine anno e in Italia c’è un perenne clima elettorale. In entrambi i Paesi ci sono degli sciacalli che non esitano ad approfittare della situazione per trarne vantaggio. Trump, che prima della pandemia già conduceva una guerra commerciale col resto del mondo, adesso ha già puntato il dito verso la Cina.

Per ora non ci sono state notizie di forti tensioni sociali come ci si aspettava ma alcune masse stressate dai forti disagi economici cominciano a mobilitarsi e il presidente non si fa scrupoli ad approfittarne. Tornare a una situazione di normalità è pensabile soltanto progettando nuove misure di sicurezza che eviteranno il ripetersi di questa situazione, e per gli USA significherebbe rivedere anche la forma del sistema sanitario che come sappiamo è per la maggior parte privato.

Infine qual è oggi secondo voi la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Sarà difficile fare nuovi passi per la liberazione sessuale in questo momento in cui anche il semplice gesto di stringersi la mano viene visto come un pericolo.

Ovviamente le resistenze maggiori sono di tipo culturale, sopratutto nei paesi in cui è ancora forte l’influenza della religione in ambito politico. Dobbiamo solo sperare che le fazioni contrarie ai diritti Lgbtqi non approfittino della situazione per riprendere forza e cancellare quello che abbiamo conquistato finora.

Non bisogna mai abbassare la guardia, sopratutto quando è chiaro che uomini al potere minacciano di cancellare diritti ormai acquisiti dopo decenni di lotta costante.

Andrea, la lotta per una società più giusta è come un fiume. Non si può fermare

Andrea, la lotta per una società più giusta è come un fiume. Non si può fermare

Attivista e capotreno è finito in cassaintegrazione, “ma sono fortunato perché ho un introito garantito anche se in una città cara come Milano non è facile”

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Oggi abbiamo sentito Andrea Manfredi, torinese, attivista di GECO – GEnitori e figli Contro l’Omotransfobia, fondata assieme a mamma Laura e papà Lino, e train manager di Italo, che, a seguito della riduzione fortissima del traffico ferroviario, è stato messo in cassaintegrazione e ha iniziato la sua quarantena a Milano, dove vive da qualche anno assieme a una collega.

Ma grazie alla sua intelligente ironia e al suo aspetto fisico, Andrea è anche molto seguito su instagram, dove ha un profilo da oltre 30.000 fan, e ci ha regalato alcune delle sue foto che potrete ammirare nella gallery in fondo.

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Per me fortunatamente la quarantena è iniziata dal 25 marzo perché, in quanto “TrainManager”, fino a quella data abbiamo avuto treni in circolazione su cui lavorare. Perciò ho circa 2 settimane in meno rispetto agli altri, e su una previsione di due mesi rinchiusi in casa fa un po’ di differenza. Da quella data anch’io non lavoro più e al momento sono uno dei tanti in cassa integrazione. Vista la situazione che c’è fuori mi sento un privilegiato perché per lo meno un minimo introito economico garantito ce l’ho, anche se con il costo della vita e degli affitti a Milano non è facile ritrovarsi di colpo con gran parte dello stipendio in meno.

Andrea Manfredi, 37 anni, nato a Torino, capotreno, vive a Milano con una collega.
Attivo nell’associazione torinese GECO – GEnitroi e figli Contro l’Omotransfobia, fondata assieme a mamma Laura e Papà Lino.

Nel mio piccolo la sto vivendo bene. Faccio un lavoro molto stressante sia fisicamente che mentalmente, sempre a contatto con più di 1000 persone al giorno e un po’ di distacco mi fa ricaricare le pile per tornare più carico di prima. Per mia natura sono un ottimista, in genere cerco sempre di vedere il lato positivo delle cose. Il troppo tempo libero non è un problema: trovo sempre modo di riempirlo con l’adeguato riposo, cibo, un po’ di allenamento casalingo, libri, film e serie tv.

Non mancano le videochiamate con mamma che è rimasta da sola a Torino (papà è mancato circa un anno e mezzo fa). Per la sua salute ho preferito non raggiungerla, anche se questo ci pesa parecchio, soprattutto per due persone molto “fisiche” come me e lei, tra cui non mancano mai baci e forti abbracci.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Credo che quel tipo di spazi di aggregazione saranno gli ultimi ad essere riaperti perché non vengono inclusi nelle necessità primarie, anche se svolgono un lavoro fondamentale nel tessuto sociale di una città, un quartiere o una comunità come la nostra.

Penso a chi in casa ha una situazione ostile al proprio orientamento e quei luoghi sono lo svago e lo sfogo dalla repressione che si può vivere tra le quattro mura. Un problema che forse in città come Milano o Torino può essere meno accentuato ma ha la sua rilevanza.

Come ripartire? Nessuno ha la bacchetta magica quindi si andrà a piccoli passi e tentativi, assicurando di mantenere mascherine e basilari norme igieniche anche qualora si dovessero riaprire tali attività. Sarà un’ottima scusa per il mondo Lgbtqi di sfoggiare mascherine all’ultima moda!

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Non ho alcuna competenza in campo economico ma immagino sarà un disastro dal punto di vista di posti di lavoro persi, di aumento esponenziale della povertà e del divario sociale.

Dovremmo riuscire a fare rete solidale tra noi e costruire a seguito di questa esperienza un’Italia migliore anche se temo succederà l’opposto. Nessuno ha la bacchetta magica per gestire una situazione inedita, ma per fortuna oggi non siamo governati da fasciosovranisti o dal cuore immacolato di Maria, sennò saremmo stati in una situazione ancora più grave.

La speranza è che si lavori bene per evitare di dare a future elezioni esiti ben peggiori. L’esperienza di un virus che ci ha raggiunto viaggiando in business class con un manager lombardo anziché con un barcone dalla Libia ci dovrebbe insegnare che non ci sono muri o barriere che tengano, che siamo tutti uguali tanto nel bene come di fronte alle avversità. E il futuro va affrontato insieme, facendo forza comune, e non trovando un nemico contro cui aizzare il disagio sociale.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Ubi major minor cessat dicevano i latini. In questa situazione la lotta per i diritti civili resterà “sospesa” fino al pieno ritorno alla normalità, per il quale ci vorrà un bel po’ di più dei due mesi di quarantena. Sospesa non significa ferma però. Su internet, tramite siti e social, la “guerriglia” di contrasto a omofobia, violenza domestica, discriminazioni razziali, etc… non si è mai fermata. Anzi. Si continuerà a denunciare.

La lotta per una società più giusta ed equa è come un fiume in piena che anche se gli sbarri la strada trova sempre comunque un modo per arrivare al mare, magari allungando il percorso di qualche chilometro. Per esempio con la quarantena si è posto ancora di più il problema dei femminicidi e delle donne costrette a vivere in casa h24 col loro aguzzino, perciò molti centri antiviolenza si sono adeguati con un maggior supporto telefonico (come con le telefonate “senza parlare”) o con apposite app.

Nell’immediato post virus ci sono già realtà che operano a fornire ospitalità a ragazz* Lgbtqi cacciati di casa che si allargheranno ad ospitare quelli che per strada ci finiranno per aver perso il lavoro e non potranno tornare dalla famiglia. Penso ad esempio nella mia Torino al progetto TOhousing che è nato un anno fa per dare un tetto a chi non ha alternativa (e so che esistono progetti identici anche in diverse altre città d’Italia).

Le persone che hanno sempre lavorato in quel campo continueranno a farlo anche dopo, ed è dovere di chi come me è più fortunato di dare la propria mano sia nella pratica sia nel supporto economico.

Deborah di Cave, in poche settimane abbiamo perso tutte le libertà

Deborah di Cave, in poche settimane abbiamo perso tutte le libertà

Per l’organizzatrice del primo Pride nazionale italiano ci sarà ancora più bisogno di lottare per i diritti e per una giusta distribuzione delle ricchezze

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Abbiamo raggiunto Deborah di Cave, storica attivista Lgbtqi che nel 1994 da giovanissima presidente del Circolo di Cultura Omoseessuale Mario Mieli ha guidato il primo pride nazionale italiano a Roma.

Il tuo nome è inscindibilmente legato al primo pride nazionale di Roma nel 1994. Dopo 26 anni anche la manifestazione romana, come molte altre in Italia e nel mondo è stata travolta dalla pandemia e ha dovuto annunciare nei giorni scorsi un rinvio a tempo indeterminato. Che sensazione fa? Sarà una stagione senza Pride?

Sai, il primo pensiero, assolutamente egoista, è stato: bene, ero così arrabbiata che la data del Pride romano fosse stata variata e coincidendo con un viaggio già organizzato a Praga sarebbe stata la prima volta che sarei mancata a questo appuntamento romano dal 1994… Un pensiero puerile, tanto più che anche il viaggio ovviamente è saltato, ma segno evidente di quanto per me il Pride sia un evento fondamentale. In particolare quello romano.

Per parlare più in generale dovrei entrare nel merito del mio vissuto molto ambivalente su tutta la questione delle limitazioni connesse alla pandemia. Pur pensando che sicuramente ci siano delle esigenze sanitarie importanti e non essendo assolutamente una complottista, non posso che rammaricarmi e preoccuparmi per un mondo che in poche settimane ha perso praticamente senza fare un fiato tutte le conquiste in termini di libertà che caratterizzano la nostra vita.

Un anno privo di pride mi intristisce e allarma moltissimo, perchè ritengo il valore di questo evento fondamentale per rappresentare la visibilità e i diritti di milioni di persone altrimenti invisibili. E non mi riferisco unicamente a quelle che sfilano, ma soprattutto a tutte quelle che ad un pride non possono partecipare perchè vivono in società dove per la propria identità e orientamento rischiano concretamente la vita e la libertà.

Deborah Di Cave, 52 anni. Romana donna, bisessuale, poliamorosa, madre, assistente sociale… Di sè dice: “Di ogni mia specificità ho fatto militanza attiva e azione di visibilità perchè il mio motto è sempre stato che ‘il personale è politico‘”. Vive a Roma con un compagno e il figlio e ha una fidanzata.
Militante nel Movimento Lgbtqi italiano dalla fine degli anni ‘80. Nel 1994 come Presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli ha contribuito a realizzare il primo Pride nazionale italiano.

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

La quarantena sta toccando moltissimo la mia vita personale e professionale.

Come poliamorosa posso vivere con il mio compagno, ma non vedo da oltre un mese la mia ragazza che abita in un altro comune. Da madre vivo la segregazione quotidiana di un figlio 14enne e il disastro della scuola a distanza. Come assistente sociale vivo la fortuna di un lavoro con contratto ancora pagato regolarmente e con forti agevolazioni in termini di smart working, ma totalmente snaturato nella sua funzione di relazione di supporto alle persone più deboli a beneficio di mansioni puramente amministrative per gestire i supporti che vengono elargiti in maniera a dir poco demenziale alla popolazione. Da militante nella comunità poliamorosa, lgbtq e kinky non sto riuscendo a supplire con i mezzi di comunicazione social – in questo sono vecchia – all’assenza di momenti di incontro, progettazione di eventi, ecc.

Quindi che dire, non me la sto vivendo benissimo.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. A tuo parere come ha reagito e sta reagendo la comunità Lgbtqi romana?

Francamente non ne ho idea. Come dicevo prima non sono così smart da riuscire a vedere cosa sta accadendo nella comunità Lgbtq attraverso lo sguardo sui social. Credo, però, che la forza della comunità lgbt romana siano da sempre le relazioni amicali che si vengono a creare anche grazie al fatto di rappresentare un punto di approdo per molte persone Lgbtq “fuori sede”. Penso che al momento questo “fare famiglia” fuori casa stia funzionando. Così come il fatto che la le persone Lgbtq, soprattutto giovani, sono in genere molto social e alfabetizzate sul piano informatico. Detto ciò credo che l’assenza di luoghi di incontro e la possibilità di situazioni di omofobia in famiglia siano problemi molto grandi che pagheremo a lungo anche dopo l’emergenza;

Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

È veramente difficile immaginare lo scenario possibile. Mi chiedo innanzitutto come faranno tante persone a pagare l’affitto di casa e le bollette dopo mesi di stipendi non pagati, in particolare in alcuni comparti come la ristorazione, lo spettacolo, il commercio in generale.

Per il futuro a breve e medio termine non so se essere più preoccupata di un ritorno troppo veloce ad una entusiasta normalità che probabilmente ci farebbe sprofondare subito in un nuovo picco e quindi ad una nuova chiusura, oppure in un estremo tempo di paranoia. Sul lungo periodo sono certa che la tendenza umana a far tornare le cose nella norma avrà la meglio e tra un anno tutto sarà tornato alla normalità, almeno su un piano emotivo.

Come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Ecco, questo è l’aspetto che mi preoccupa di più. Non sono una persona ottimista e l’idea che gli eventi tragici della storia migliorino la vita individuale non mi appartiene. Credo che l’impoverimento inevitabile di fasce già fragili della popolazione, una distribuzione ingiusta degli aiuti alle imprese, la profittazione che ne verrà, l’insegnamento ai potenti della Terra che si può costringere in casa la gente per mesi, togliergli libertà, lavoro, dignità senza grandi proteste, se il motivo addotto sembra sufficientemente convincente, siano tutti scenari gravi e molto probabili.

Penso che rimarremo consumisti come prima, solo un pò più poveri e con l’esperienza di una “dittatura” per giusti motivi. Quindi penso che dopo questa vicenda ci sarà ancora più bisogno di lottare per i diritti e per una giusta distribuzione delle ricchezze.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

In Italia e in larga parte del mondo siamo ancora così indietro sul tema dei diritti e della liberazione sessuale che questo stop non può che spingerci a lavorare molto di più quando si potrà tornare ad una normalità. Soprattutto spero che si riprenda la strada delle piazze e delle manifestazioni: i corpi sono oggi, ancora più di prima significativi e significanti e rappresentano la nostra forza propulsiva.

Annibali, temo che le nostre lotte non saranno più priorità

Annibali, temo che le nostre lotte non saranno più priorità

Per la presidente di Di’GayProject superare la cirsi economica richiederà uno sforzo unitario ed eccezionale, e ottenere leggi e diritti sarà più difficile

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Abbiamo ascoltato Maria Laura Annibali, presidente dell’associazione romana Di’GayProject che, dall’alto dei suoi 76 anni, non si lascia fermare neppure dalla panedemia e continua a guardare con speranza e progettualità al futuro.

Che impatto ha avuto l’emergenza coronavirus sulla vita e le attività associative di DìGayProject? Come state reagendo?

Purtroppo abbiamo sospeso tutti gli eventi che erano in programma. Un grande peccato, perchè erano multiformi, variegati e avevano già avuto successo nelle precedenti edizioni. Stiamo reagendo nella maniera migliore possibile, lavorando da casa, per la realizzazione dei prossimi progetti, di cui saremo protagonisti insieme ad altre associazioni in campo europeo.

Maria Laura Annibali, romana, pensionata, classe 1944. “Solo” nel 2000 decide di fare coming out accrescendo progressivamente il suo impegno e la sua visibilità fino a divenire presidente dell’associazione Di’GayProject nel 2014.
Artista, e filmmaker è nota soprattutto per il documentario sul mondo lesbico e femminista “L’altra metà del cielo” (2009) che ha partecipato a diversi festival a tematica.

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Personalmente con soddisfazione. Sono riuscita a creare un gruppo di canterini e non ci siamo fermati ai sette giorni di canzoni sul terrazzo di casa, come consigliati dalla Sindaca di Roma. Li abbia anzi intensificati a due incontri al giorno.

Maria Laura Annibali (a sinistra) e la moglia ad una manifestazione

Il nostro gruppo musicale è composto da un cantautore in pensione con attrezzature sonore, persone di condomini diversi, di età diverse, di nazionalità diverse, di religioni diverse e di generi diversi. La maggior parte sono etero ma l’intero complesso è capeggiato da due ultra settantenni, anche loro in pensione, dichiaratamente lesbiche, una addirittura presidente di una associazione Lgbtqi, documentarista, scrittrice…

Ma non sono il tipo di persona che può limitarsi solo a cantare. Ho preso accordi con due diversi editori per pubblicare due libri diversi e ho collaborato a un articolo su Roma Sera. Assieme a un “nostro” regista sto collaborando a una sceneggiatura, ho scritto interamente un altro articolo. Ma non voglio dimentire il progetto che ho più a cuore: con Anna Paolucci, stiamo scrivendo il romanzo della mia vita!

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Sinceramente sogno di tornare a Piazza delle Cinque Lune a manifestare ancora sotto al Senato per la legge contro l’omotransfobia e la legge sulle adozioni. Credo che si debba ripartire così.

Dopo quel che sta succedendo in Italia e nel mondo come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?
Maria Laura Annibali alla Casa Internazionale delle Donne, Roma

C’è chi dice che nulla sarà come prima. Trovo questa affermazione troppo estrema. Certo, questa esperienza per noi “grandi” è stata stravolgente. Non avrei mai pensato di poter resistere tutto il tempo già trascorso e inevitabilmente quello che dovrà ancora trascorrere nelle 4 mura di casa. Io, che neanche i terremoti mi trovavano nella mia “tana”, mi sto rassegnando e debbo dire senza sconforto.

Per sopravvivere penso che l’Italia e l’Europa debbano fare un vero salto di qualità. Questo “mostro” in qualche modo ha unito tutto il Mondo nella sofferenza, con la catastrofica conseguenza di miglioni di posti di lavoro perduti, come i risparmi di tanti piccoli, onesti cittadini.

Con l’aiuto di governi illuminati i giovani dovranno rimboccarsi  veramente le maniche, i pantaloni e qualunque altro indumento, per poter far risorgere l’economia disastrata. Questa è la vera sfida dei prossimi anni, con la personale convinzione che insieme ce la possono fare.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

Di questo sono molto preoccupata. In una società dove dovremo lottare per provvedere alle necessità primarie delle famiglie, ci potrebbe essere poco spazio per il proseguimento del cammino sui diritti civili e la liberazione sessuale.

Normalmente non sono una pessimista, ma vedo difficile che i nostri governanti, che dovranno inventarsi la “qualunque” per impedire straordinari movimenti di piazza, per il diritto al lavoro e alla casa, possano avere la voglia e il coraggio di interessarsi a risoluzioni di giustizia umana e sociale. Già in situazione di “normalità” ci sono voluti ben 20 anni per un’incompleta legge sulle unioni civili perché ci dicevano che le priorità erano sempre altre.

Temo che non potendo andare avanti, si rischi, in un Mondo impoverito e bisognoso di pane e companatico, che qualche infame governante possa addirittura indire dei referendum per abrogare il frutto di una lotta lunga e sofferta.