Andrea Monaco, Riapriamo gli spazi Lgbt+ liberandoci delle dirigenze tossiche

Andrea Monaco, Riapriamo gli spazi Lgbt+ liberandoci delle dirigenze tossiche

Molti – dice il giovane studente di matematica – percepiscono l’attivismo come hobby di poche persone narcisiste. Dobbiamo coinvolgere chi si occupa d’altro

Con Altrestorie abbiamo deciso di raccontare come sta vivendo la pandemia di coronavirus la nostra comunità Lgbtqi. Tanti volti, esperienze e riflessioni di attiviste/i, persone impegnate nel sociale, in politica, nelle lotte, nel web, artiste/i, e di tutta la splendida e variegata moltitudine che con le sue diversità da sempre anima la nostra comunità.

Abbiamo sentito Andrea Monaco 25enne studente fuorisede di matematica alla Sapienza di Roma, da anni attivista prima al Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, poi in Link e attualmente nel Coordinamento Roma Pride.

Come stai vivendo questo periodo di quarantena? Come sono cambiati il tuo lavoro, le tue abitudini, le tue relazioni?

Sono rientrato a Pescara e vivo con i miei genitori e due fratelli. Rispetto l’obbligo di stare in casa e lo reggo bene perché neanche in tempi normali ho un’intensa socialità, o comunque tanta parte di essa avviene su spazi virtuali. Sono studente di matematica, lo studio procede al solito ritmo e ci sono meno distrazioni. Mancano anche le distrazioni sessuali, piano su cui il virtuale mostra diversi limiti…

Andrea Monaco, 25 anni, pescarese, studente di matematica alla Sapienza di Roma, single. Attivista Lgbtq+, in passato responsabile del gruppo giovani del Circolo Mario Mieli, ora membro del Coordinamento Roma Pride.

Il virus e le misure per contrastarlo hanno avuto un impatto enorme sulla socialità e anche sugli spazi di aggregazione Lgbtqi, come associazioni, serate, locali, eventi culturali. Come ripartire, come saranno i prossimi mesi?

Le associazioni che seguo hanno reagito al lockdown in modi diversi, incrementando la presenza sui social (ad esempio con le dirette instagram) o il dibattito interno nei canali telematici soliti. 

La crisi sfida anche questo aspetto: la delimitazione tra esterno e interno nelle organizzazioni Lgbt+, quei “confini” che a livello fisico sono netti, almeno per le organizzazioni che hanno una sede, mentre virtualmente si possono sfumare con più o meno consapevolezza. Questi fanno la differenza tra i vari scopi che una realtà Lgbtq+ si prefigge, dalla semplice offerta di intrattenimento, nemmeno interattiva, al coinvolgimento politico e sociale di una platea più ampia possibile. Sfida complessa ma cruciale.

Penso che la ripresa delle attività sarà più spedita laddove c’è un tessuto di soci vivace e decentrato, libero e dialettico, con attività organizzate in autonomia senza la presenza ingombrante di certe dirigenze. La verticalità è sempre un limite!

Come ti immagini il futuro a livello politico, sociale ed economico? Quali conseguenze, rischi, ma anche nuove sfide o possibilità?

Credo che il virus e le relative contromisure avranno effetti drammatici e complessi. 

Le crisi possono far emergere le ingiustizie sociali e fomentare la giusta rabbia di chi è socialmente più debole. Penso ai limiti della sanità privata e a come essa venga coccolata dalla politica a discapito di quella pubblica. O alle condizioni agghiaccianti di certe residenze per persone anziane, oppure ancora alle carceri. Inoltre penso alle categorie che hanno chiesto insistentemente la riapertura dei luoghi di lavoro per riprendere a profittare sulla pelle di lavoratori e lavoratrici… La richiesta di allentamenti del lockdown può venire da molte istanze diverse, ma queste ultime sono senz’altro le peggiori.

Infine qual è oggi secondo te la prospettiva che si apre nella lotta per i diritti e la liberazione sessuale?

È il momento di analizzare criticamente gli spazi Lgbta+, lavorando insieme alla più ampia parte possibile di comunità Lgbqt+, qualunque definizione di essa si voglia dare. 

Si può ragionare sulla parola “attivista“. Molti la guardano con diffidenza e  percepiscono l’attivismo per i diritti umani come un privilegio, o peggio come un hobby di poche persone narcisiste.

Bisogna invece dare possibilità a chiunque lo voglia di dare una mano, rendere gli spazi Lgbtq+ attraversabili e contaminabili anche da realtà e persone che si occupano di altro. Tocca liberarsi di dirigenze tossiche che tendono a incollarsi alle cariche e non andarsene più, perché queste persone fanno danni ingentissimi. 

Si devono aprire gli spazi Lgbtq+ al maggior numero possibile di persone, mantenendoli al tempo stesso “safe” per tutte le soggettività e liberandoli da dinamiche malate di potere ed emarginazione del dissenso.

Parallelamente bisogna investire sui social network, come si è costretti a fare in questo periodo. Si tratta di spazi vissuti da tutte le generazioni e consentono di raggiungere moltissime persone. Spesso sono guardati con sufficienza, ma sono un’agorà fondamentale per promuovere cambiamento sociale, pur con le loro contraddizioni.


Comments are closed.